gianni lodi
FRANKENSTEIN ON THE BEACH
ovvero
la donna che inventò l’horror
Personaggi
– CORO
– CONTROCORO
– MARY
– CONTROMARY
– la creatura
CONTROMARY – “Quando noi tre ci rivedremo ancora? Con tuono, lampo o pioggia? Quando, allora? Quando sarà finito il parapiglia,e sarà vinta o persa la battaglia. Sarà al calar del sole, questa sera. E il luogo? Alla brughiera. Laggiù dobbiamo andare Macbeth ad incontrare. Per noi il bello è brutto, il brutto è bello fra la nebbia planiamo e l’aer fello.”
CORO – Grazie cara, ora puoi andare. Il Macbeth lo facciamo un’altra volta. Stasera abbiamo altro da rappresentare. (aiuta l’attrice a lasciare la scena) Buonasera. Scusate per il contrattempo, ma dovete capire: siamo una compagnia raffazzonata, siamo il teatro sul territorio senza finanziamenti né riconoscimenti. E anche lo spettacolo di cui vi diamo un’anticipazione è un abbozzo, un work in progress e ci dovrete aiutare a rappresentarlo perché il cast non è completo. Ma veniamo a noi. Siamo qui per raccontare una storia a tinte forti, una storia di ieri ma molto attuale con un titolo stuzzicante: FRANKENSTEIN ON THE BEACH ovvero la donna che inventò l’horror.
CONTRO-CORO (dal pubblico) – Come, come: una donna ha inventato l’horror? Ma non può essere!
CORO – Invece si, caro lei: due secoli fa, in pieno Romanticismo, una ragazza di diciannove anni ha scritto un libro che ha proiettato il romanzo gotico nella contemporaneità e ha aperto le porte niente meno che alla fantascienza.
CONTROCORO – Wow. Titolo?
CORO – Frankenstein.
CONTROCORO – Ah si, l’ho visto al cinema.
CORO – Il romanzo però ha un sottotitolo: il moderno Prometeo.
CONTROCORO – Prometeo chi?
CORO – Ma il titano che ruba il fuoco agli dei per donarlo agli uomini e fa incazzare così tanto Zeus che si ritrova incatenato a una roccia con un’aquila che gli divora il fegato.
CONTROCORO – Poveraccio! Scusa, ma cosa c’entra con Frankenstein?
CORO – C’entra perché anche in questa storia c’è un aspirante Prometeo, il dottor Frankenstein appunto, che vuole salvare il genere umano dalla morte.
CONTROCORO – Ma Frankenstein non era il mostro?
CORO – No, anche lei fai quest’errore! Frankenstein è lo scienziato che crea il mostro, il quale tra l’altro rimane senza nome e nel romanzo l’autrice finisce per chiamarlo la creatura.
CONTROCORO – Che casino! Sei sicuro che l’abbia scritto una donna?
CORO – Si, l’ha proprio scritto una donna!
CONTROCORO – Mah… e come si chiamava?
CORO – Mary Godwin Wollstonecraft!
CONTROCORO – Mary Godwin Wollstonecraft? mai sentita.
CORO – Infatti è conosciuta come Mary Shelley. Ha preso il cognome dal marito Percy Shelley, il poeta inglese bello e dannato come tutti i romantici, rinnegato dal padre perché ateo e miscredente.
CONTROCORO – Questo Percy era anche un libertino?
CORO – Predicava e praticava il libero amore ed era contro il matrimonio.
CONTROCORO – Ma se hai appena detto che ha sposato Mary Godwin Wollstonecraft!
CORO – Lei è proprio un importuno, si rende conto?! Percy ha dovuto sposare Mary per arginare l’ennesimo scandalo seguito alla loro fuga d’amore di due anni prima.
CONTROCORO – Quale scandalo?
CORO – Beh, intanto lei aveva sedici anni e lui era già padre di un bambino. E poi Percy, nonostante Mary, continuava a frequentare la moglie che, un mese dopo aver partorito il secondo figlio, si suicida.
CONTROCORO – Che brutta storia!
CORO – E non è finita. La vicenda di Mary e Percy Shelley è piena di tali e tanti colpi di scena che per seguirne gli sviluppi bisogna essere pronti a tutto.
CONTROCORO – Ah, io sono pronto a tutto!
CORO – Allora stia zitto per un po’!
CONTROCORO – Va bene, non parlo più…
CORO – Tornando ai nostri personaggi, li troviamo impegnati in un viaggio che da Londra li porta sul Lago di Ginevra dove il loro grande amico Lord Byron…
CONTROCORO – Lord Byron chi?
CORO – Lei è anche un bell’ignorante, lo sa?! Byron è un altro poeta romantico, con una vita sempre sopra le righe.
CONTROCORO – Questi inglesi eh, sembrano così perbenino e invece…
CORO – Basta per favore e mi lasci continuare!
CONTROCORO – Continua pure, figurati…volevo solo precisare.
CORO – Grazie. Sul Lago di Ginevra, Byron ha affittato la magnifica Villa Diodati dove ospita John William Polidori, un giovane con aspirazioni letterarie, proprio allora entrato al suo servizio diciamo… come medico personale.
CONTROCORO – Perché “diciamo”?
CORO – Ancora con queste stupide domande?! Non siamo qui per fare gossip.
CONTROCORO – Vorrei solo sapere perché hai fatto quell’allusione.
CORO – Beh, pare che tra i due ci fosse un’amicizia…particolare.
CONTROCORO – Ah, ho capito…almeno, credo d’aver capito.
CORO – Possiamo continuare? Byron e Polidori hanno come vicini il vivace terzetto formato da Percy, Mary e la sorellastra, Claire Clairmont, probabile amante di Percy. In quell’estate diventerà amante di Lord Byron e da lui avrà una figlia, Allegra, destinata, nonostante il nome, a una tragica fine.
CONTROCORO – Però, questi inglesi ci danno dentro, eh!…Ma non c’era quel film “Niente sesso siamo inglesi”?
CORO – La pianti con queste battute di dubbio gusto! Piuttosto diamo finalmente la parola alla donna che ha inventato l’horror, Mary Shelley.
MARY – Nell’estate 1816 con Lord Byron trascorremmo ore felici passeggiando sulle rive del lago. Ma poi il tempo umido, un’estate inclemente, la pioggia incessante ci costrinsero in casa per lunghe giornate.
CORO – In quell’estate si manifestano infatti gli effetti dell’eruzione del vulcano indonesiano Tambora. Le tonnellate di particelle di zolfo liberate nell’aria oscurano il sole. Un’ondata anomala di freddo e di pioggia crea forti disagi anche in Europa. Ma i nostri personaggi trovano presto conforto nella…, nella…
CONTROCORO – Nella lettura.
CORO – Finalmente una battuta azzecata.
MARY – Confinati in casa, ci capitarono in mano alcuni volumi di storie di fantasmi. Sull’onda di queste letture, una sera Lord Byron propose «Ciascuno di noi scriverà una storia di fantasmi». Accettata la proposta, lui cominciò subito a scrivere un racconto. Shelley, più adatto a dare splendore alle idee e ai sentimenti che a strutturare una storia, ne iniziò comunque una ricordando alcuni avvenimenti della sua infanzia.
CORO – Questo bizzarro gruppo di transfughi inglesi è animato da un autentico jinn, il “genio” della scrittura. Dal loro incontro escono infatti i due testi fondamentali del genere horror. Nel 1818 Mary Shelley pubblica Frankestein, mentre l’anno dopo esce The Vampyre di cui John William Polidori aveva redatto una prima stesura proprio in quell’estate sul Lago di Ginevra. Il protagonista del racconto, Lord Ruthven, è ricalcato sulle sembianze dello stesso Byron e anticipa l’immagine del vampiro oggi più accreditata …
MARY – bello, elegante, aristocratico, con un fascino perverso ma irresistibile, che cerca le sue prede nell’alta società. (pausa) Io invece continuavo ad arrovellarmi per trovare una storia all’altezza. Una storia che facesse gelare il sangue e balzare il cuore in gola. Invano.
CORO – «Hai trovato la tua storia?»
MARY -…era la domanda che mi si poneva a ogni risveglio, e a ogni risveglio ero costretta a un mortificante NO.
CORO – Un altro passatempo del gruppo è la discussione su questioni di carattere scientifico. Le più scottanti riguardano l’esistenza di un’energia endemica, capace di spiegare la nascita e lo sviluppo degli esseri viventi in contrasto con l’ipotesi creazionista della narrazione biblica.
MARY – Lunghe e numerose furono le conversazioni tra Lord Byron e Shelley a cui io prendevo parte come devota ma pressoché muta ascoltatrice. Durante una di queste si parlò dell’origine della vita e della possibilità di scoprirne e decifrarne la vera essenza. Potevano le diverse parti di un cadavere essere manipolate e rianimate da un nuovo soffio vitale? Con il galvanismo si era ottenuto qualcosa del genere. (pausa) Su questi discorsi scese la notte. Quando ci ritirammo per dormire, l’ora delle streghe…
CONTROMARY – Streghe, hai detto streghe? Sono io la strega per eccellenza, faccio parte di quel terzetto che nel Macbeth…
MARY – Ma non hai sentito? il Macbeth lo facciamo un’altra volta non stasera. Lasciami continuare, per favore! Dunque… l’ora delle streghe era trascorsa ma io non riuscivo a prendere sonno. A occhi chiusi ma con la mente ben desta, vedevo lo studioso di una scienza sacrilega, pallido, inginocchiato accanto all’orrida forma di un essere disteso. Poi una macchina potente entrava in azione e la cosa si risvegliava, sollevandosi con movimento difficoltoso. L’artefice dell’esperimento, atterrito dal proprio successo, fuggiva dalla sua spaventosa creatura forse sperando che, abbandonata a se stessa, la debole scintilla di vita che vi aveva acceso si sarebbe spenta. Il creatore scivolava nel sonno, poi si scuoteva, riapriva gli occhi: la cosa era sempre lì, in piedi, accanto al suo letto e lo fissava con occhi penetranti, giallastri e acquosi. Io spalancai i miei per il terrore. Volevo sostituire quelle fantasie orripilanti con la rassicurante realtà. Ma quel fantasma mi perseguitava. (pausa) Improvvisa giunse l’idea. “Come ha terrorizzato me, terrorizzerà anche gli altri”. La mattina seguente annunciai “Finalmente ho la storia”. E cominciai a scrivere: “Fu in una notte tetra di novembre…”
CORO – e in nove mesi, come per un parto vero e proprio, prende forma Frankenstein, nella prima edizione uscito anonimo. Almeno per l’epoca, è sorprendente che una giovane donna non solo aspiri al ruolo di scrittrice professionista, ma voglia cimentarsi con un mito decisamente maschile come quello di Prometeo. Ci volle tempo per convincere l’opinione pubblica che l’autore del romanzo non era Percy Shelley, come molti sostenevano dato che la prefazione era sua, ma la moglie. D’altra parte questa Mary era figlia di un’altra Mary altrettanto anticipatrice e determinata.
CONTROCORO – Un’altra Mary?
CORO – La smetta d’interrompermi! Si! Parlo della madre, Mary Wollstonecraft, autrice di uno dei primi testi del femminismo internazionale: quel Vindication of the Rights of Women del 1792, tappa fondamentale nella lotta delle donne contro la discriminazione.
CONTROCORO – Anche le femministe adesso! Ma non possiamo giocare un po’ a Frankenstein…
CORO – Ma per favore…Va bene. Se lei sta zitto e buono per un po’ le racconto la trama del romanzo.
CONTRCORO – Si, si: sto buono, sto buono…
CORO – Allora: c’era una volta il dottor Frankenstein, che vuole sfidare il destino di morte cui è condannata l’umanità. Assemblando parti di cadaveri, mette a punto un nuovo essere cui infonde la vita con un congegno cattura fulmini. Ma quando si rende conto dei rischi dell’esperimento, abbandona la creatura al proprio destino.
CONTROCORO – Beh, ma che stronzo questo dottor Frankenstein!
CORO – Oltre che cattivo, anche incosciente. Non prevede che la creatura, condannata a un’esistenza senza amore poiché nessuno tollera la sua mostruosa presenza, sviluppi un’incontenibile sete di vendetta. Comincia col far fuori il fratello minore del dottor Frankenstein, della cui morte viene accusata la povera governante che, seppur innocente, finirà giustiziata…
CONTROCORO – Beh, se è per quello… succede anche oggi.
CORO – Si è vero: succede anche oggi. Ma mi faccia continuare. Durante un’escursione al Monte Bianco, Frankenstein s’imbatte nella creatura. Impietosito, promette di creargli una compagna, ma poi si pente e non mantiene la promessa. Per vendetta la creatura uccide non solo l’amico più caro di Frankenstein, ma anche la sua giovane moglie Elizabeth, la notte stessa delle nozze.
CONTROCORO – Un serial killer, insomma!
CORO –Si, un vero e proprio serial killer! Spaventato da una tale furia omicida, il dottor Frankenstein parte per catturarlo e arriva fino ai ghiacci dell’Artico. Stremato dall’infruttuosa ricerca, trova rifugio sulla nave del Capitano Walton… serve qualcuno che faccia il Capitano. C’è qualche volontario? E’ facile! Nessuno? (rivolgendosi al CONTROCORO) Allora provi lei, coraggio!
CONTROCORO – Il Capitano Walton, e chi è?
CORO – E’ lo scienziato che accoglie Frankenstein quasi moribondo sulla nave con cui sta esplorando il Polo Nord.
CONTROCORO – Ah, e io dovrei diventare uno scienziato!? Non mi sembra proprio il caso…
CORO – Zitto e vada a cambiarsi. E’ un ruolo importante. Infatti è proprio al Capitano Walton che il dottor Frankenstein racconta le vicende che l’hanno portato fin lì, ai confini del mondo. Il Capitano ne rimane molto colpito e le racconta alla sorella Margaret con una serie di lettere, che costituiscono la struttura del romanzo. L’ultima rivela il tragico epilogo della vicenda.
(Entra il CONTROCORO come capitano Walton)
CONTROCORO – Cara Margaret, sorella mia, il racconto che ho registrato finora sarebbe incompleto senza questa straordinaria catastrofe finale. Sono entrato nella cabina dove giacciono i resti mortali del mio sventurato amico, il dottor Frankenstein. (entra la creatura) China su di lui c’era una figura che non ho parole per descrivere: gigantesca, goffa, sproporzionata. Il volto, deforme e spaventoso, nascosto da lunghe ciocche di capelli, una mano enorme, pallida, protesa in avanti. Non ho mai visto nulla di tanto orribile. (col megafono) “Fermatevi”.
La creatura – (Voltandosi verso il pubblico e rivolgendosi a uno spettatore) Anche questa è una mia vittima. Con la sua morte ho consumato tutti i miei crimini. Oh, Frankenstein, essere generoso e appassionato! A che serve chiederti perdono? Distruggendo i tuoi cari, ho distrutto anche te. Il tuo corpo è freddo, e non puoi rispondermi.
CONTROCORO – Il vostro pentimento è superfluo. Se aveste ascoltato la voce della coscienza il dottor Frankenstein vivrebbe ancora!
La creatura – Quello che ha sofferto lui è un’inezia rispetto a quello che ho sofferto io. Il mio cuore era fatto per l’amore e la comprensione; fu il dolore a spingerlo all’odio e alla crudeltà. A questo mutamento si accompagnò un tormento che non potete immaginare! Avevo pietà per Frankenstein e mi odiavo. Ma quando scoprii che lui, il creatore del mio dolore, osava sperare di essere felice…quando scoprii che poteva provare sentimenti a me vietati come l’amore, allora un’invidia impotente mi bruciò il cuore, votandomi a una vendetta insaziabile. Sapevo che mi stavo preparando a una tortura infinita, ma ero lo schiavo, non il padrone di quell’impulso malvagio. Eppure quando soffocai nel sonno l’amata Elizabeth, la sua giovane sposa…No, non fui infelice allora.
CONTROCORO – …un mostro, voi siete un mostro di crudeltà!
La creatura – Non dite così. Ormai avevo calpestato tutti i miei sentimenti. Da allora il male divenne il bene per me.. Mi ero spinto troppo lontano. Dovevo essere un demone! (pausa) E ora è finita. Ecco la mia ultima vittima!
CONTROCORO – Se colui che piangete vivesse ancora continuerebbe a essere vostra preda. Non è pietà ciò che provate: è rabbia, perché la vostra vittima vi è sottratta!
La creatura – Non è così! Nel mio dolore non cerco conforto. Non ne avrò mai. All’inizio desideravo condividere l’amore, che traboccava dal mio petto. Ma ora che la virtù è un’ombra, che affetto e felicità non sono che amaro disgusto e prostrazione, perché dovrei cercare conforto? Quando morirò, che il disprezzo e l’orrore pesino sulla mia memoria.
CONTROCORO – Disgraziato!
La creatura – Disgraziato, si un disgraziato io sono, ma non per colpa mia. (pausa) Un tempo speravo in qualcuno che mi amasse per le mie virtù, dimenticando il mio volto. Ma ora il crimine mi ha degradato al di sotto del più vile animale. L’angelo che cade diviene un diavolo maligno. Eppure anche il nemico di Dio e degli uomini ha dei compagni nella sua desolazione. Io sono solo.
CONTROCORO– Tutti siamo soli su questa terra!
La creatura – Io cercavo amore, compagnia. E venivo sempre respinto. Non è ingiusto? Devo essere considerato l’unico colpevole quando l’umanità intera ha peccato contro di me? Io, l’infelice, l’abbandonato, sono un aborto che si rifiuta, si prende a calci, si calpesta. Anche ora il sangue mi ribolle al ricordo di quell’ingiustizia! E’ vero, ho ucciso i buoni, gli indifesi. Ho strangolato innocenti nel sonno. Ho perseguitato chi mi ha creato. Eccolo. Giace nel pallore, nel gelo della morte. (pausa)Voi mi odiate. Ma il vostro odio non può superare quello che io sento per me stesso.
CONTROCORO – Io non vi odio, vi compiango.
La creatura – Lascerò la vostra nave. La zattera di ghiaccio che mi ha portato fin qui diventerà la mia bara. Brucerò fino alla cenere questo corpo miserevole, così che i suoi resti non siano d’aiuto a qualcuno intenzionato a creare un altro essere come me. Non sentirò più le angosce che mi corrodono. Non vedrò più il sole e le stelle, né sentirò il vento accarezzarmi il volto. Luce, passioni, sensazioni: sparirà tutto. Non sarò più preda dell’ansia inquieta che non mi lascia pace. Nel nulla troverò la mia felicità. Lordato di colpe, lacerato dai rimorsi dove posso trovare riposo se non nella morte? Il mio spirito riposerà in pace, finalmente. Addio!
MARY – Balzò dalla finestra della cabina sulla lastra di ghiaccio e fu subito trascinato via dai flutti perdendosi lontano, nel buio. (lunga pausa)
CORO – Con queste parole Mary Shelley termina il suo romanzo lanciando un monito quanto mai attuale: attenti alle tragiche conseguenze cui può portare il dominio incontrollato della conoscenza sulla natura. (pausa) Un particolare importante: nel suo commiato, la creatura annuncia che il suo corpo brucerà su un rogo fino a diventare cenere. E’… una premonizione.
CONTROCORO – Premonizione di che?
CORO – Ancora lei?! Un po’ di pazienza e capirà. Torniamo ai coniugi Shelley che, dopo la pubblicazione di Frankenstein, da Londra stanno partendo per l’Italia con l’immancabile Claire Clairmont al seguito. Visitate diverse città, sembrano trovare dimora a Pisa dove di lì a poco li raggiunge l’amico Byron. Ma il suo folle nomadismo spinge Shelley nel Golfo della Spezia dove a San Terenzo scopre Casa Magni, una grande villa sul mare proprio di fronte alle isole del Golfo, dominate dall’incantevole Palmaria.
CONTROCORO – Io vado sempre a fare il bagno alla Palmaria. C’è un’acqua…
CORO – Portatemelo via, non se ne può più… Catturato da quel mare inquieto e ribelle come lui, Percy decide di affittare la villa costringendo Mary a lasciare Pisa due mesi dopo. La partenza è straziante: a Pisa lei aveva finalmente messo radici e ora, di nuovo incinta, deve ricominciare tutto da capo! La sera prima di partire apre l’Eneide, ma terrorizzata smette subito di leggere. Aveva riconosciuto la profezia della Sibilla e altri indizi nefasti: il viaggio di Enea negli Inferi, il funerale dell’amico Miseno e il rogo su cui arde il giovane corpo… Di nuovo un cadavere su una pira funeraria, di nuovo quell’inquietante premonizione! (lunga pausa)
MARY – 15 agosto 1822. Cara Maria, sul palcoscenico della mia esistenza è ormai calato il sipario. Nella lettera precedente ti avevo descritto la bellezza disturbante del paesaggio e la gioia di Shelley. lo invece mi sento malata, nel corpo e nella mente. Un senso di sventura incombe sul mio spirito. Nessuna lingua può esprimere quanto abbia odiato quella casa. Shelley me lo rimproverava. Cosa potevo obbiettare? Che gli abitanti erano degli odiosi selvaggi di cui mi ripugnava persino la parlata? che benché il territorio fosse innegabilmente bello, io preferivo luoghi più coltivati? che tutti i nostri amici toscani stavano per partire? Gli unici momenti di pace li trovavo a bordo di quell’imbarcazione infelice, quando poggiavo la testa sulle sue ginocchia, chiudevo gli occhi e sentivo solo il vento e il nostro rapido andare per mare.
CORO – Nel frattempo Percy e Edward Williams, che con la moglie Jane condivideva con gli Shelley la villa di San Terenzo, avevano incaricato il capitano Roberts, che a Genova stava allestendo una nave per Lord Byron, di costruire una barca a vela per loro. Chiamata Don Juan, la barca viene consegnata il 12 maggio e consente ai due amici di navigare in tutta libertà. Un mese dopo, dall’Inghilterra arriva a Genova la famiglia Hunt: Leigh Hunt avrebbe dovuto dirigere, da Livorno, The Liberal, una rivista finanziata da Byron, cui avrebbe dovuto collaborare anche Shelley. Ma… il destino è in agguato.
MARY – Cara Maria, prima di continuare devi sapere che due mesi fa ho rischiato di morire per un aborto spontaneo. La convalescenza è stata lunga e penosa. Per giunta abbiamo saputo che lunedì primo luglio Hunt e la famiglia, arrivati a Genova, sarebbero ripartiti per Livorno via terra. Per accoglierli degnamente, Shelley, Edward e il capitano Roberts decisero di precederli via mare. Io stavo meglio, ma alla malattia era subentrato il malumore aggravato da quella partenza. Non sopportavo l’idea che Percy mi lasciasse di nuovo sola. Mentre s’imbarcava, lo richiamai indietro due o tre volte minacciando di andarmene a Pisa con nostro figlio, Percy Florence. Ma lui è… partito lo stesso. (pausa) Il mio malumore cresceva col trascorrere dei giorni. Facevo la ronda sulla terrazza, oppressa dall’angoscia anche se di fronte avevo il panorama più bello del mondo: il Golfo della Spezia con le sue piccole baie di cui la nostra è la più incantevole. In questo paesaggio il tramonto, l’apparizione delle stelle, il sorgere della luna sono spettacoli mirabili. (pausa) Sistemati finalmente gli Hunt a Livorno, lunedì 8 luglio Percy e Edward decidono di tornare a San Terenzo dove però il maltempo aveva imperversato tutto il giorno. Io e Jane non potevamo certo immaginare che si sarebbero messi per mare con un tempo simile. (pausa) Dopo la tempesta della notte era scesa una pioggia calma e costante. Il cielo stava già piangendo sulle loro tombe. (pausa) Mercoledì un veliero proveniente da Livorno ci porta la notizia che invece erano salpati proprio quel lunedì. Non volemmo crederci, ma dopo due giorni è arrivata una lettera di Hunt indirizzata a Shelley…(il CORO consegna la lettera a MARY)
CORO – (rivolto al CONTROCORO) Su coraggio, faccia anche il capitano Roberts!
CONTROCORO – Ma come faccio? Va beh, ci provo (col megafono) “Per favore, Percy, dacci notizie del vostro ritorno perché abbiamo saputo del cattivo tempo di lunedì, dopo la vostra partenza, e siamo in pensiero.”
MARY- Il foglio mi cadde di mano. Cominciai a tremare dalla testa ai piedi. Jane lo lesse ed esclamò “Allora è tutto finito.” (lunga pausa)
CORO – Per comprendere lo stato d’animo di Mary, torniamo nella Londra dell’inverno 1799. Da oltre due anni la madre, che aveva già una figlia, è morta dando alla luce Mary. Un amico di famiglia, il poeta Samuel Taylor Coleridge, rimane così colpito dalla sorte delle due orfane che si trasferisce da loro per prendersene cura.
CONTROCORO – Un altro poeta inglese, ma che palle!
CORO – Un po’ di rispetto per la poesia, andiamo! Capita che Coleridge, prima di metterle a letto, reciti loro alcuni versi del suo poema più celebre, La Ballata del Vecchio Marinaio. Una bambina di due anni non può non essere rimasta colpita da quell’uomo grande e grosso che, andando avanti e indietro per la stanza, declama agitando le braccia versi di questo tenore…(a CONTROMARY) Coraggio, mettiti il mantello e fai il Vecchio Marinaio!
CONTROMARY (come Vecchio Marinaio) – “Solo, solo, affatto solo — solo in un immenso mare! E nessun santo ebbe compassione di me, della mia anima agonizzante.
Tutti quegli uomini così belli, tutti ora giacevano morti! e migliaia e migliaia di creature brulicanti e viscose continuavano a vivere, e anch’io vivevo.
Guardavo quel putrido mare, e torcevo subito gli occhi dall’orribile vista; guardavo sul ponte marcito, e là erano distesi i morti.
Chiusi le palpebre, e le tenni chiuse; e le pupille battevano come polsi; perché il mare ed il cielo, il cielo ed il mare, pesavano opprimenti sui miei stanchi occhi; e ai miei piedi stavano i morti.
Un sudore freddo stillava dalle loro membra, ma non imputridivano, né puzzavano: mi guardavano sempre fissi, col medesimo sguardo con cui mi guardarono da vivi.
La maledizione di un orfano avrebbe la forza di tirar giù un’anima dal cielo all’inferno; ma oh! più orribile ancora è la maledizione negli occhi di un morto! Per sette giorni e sette notti io vidi quella maledizione… eppure non potevo morire.
La vagante luna saliva in cielo e non si fermava mai: dolcemente saliva, saliva in compagnia di una o due stelle.
I suoi raggi illusori davano aspetto di una distesa bianca brina d’aprile a quel mare putrido e ribollente; ma dove si rifletteva la grande ombra della nave, l’acqua incantata ardeva in un monotono e orribile color rosso.
Al di là di quell’ombra, io vedevo i serpi di mare muoversi a gruppi di un lucente candore; e quando si alzavano a fior d’acqua, la magica luce si rifrangeva in candidi fiocchi spioventi.
Nell’ombra della nave, guardavo ammirando la ricchezza dei loro colori; blu, verde-lucidi, nero-vellutati, si attorcigliavano e nuotavano; e ovunque movessero, era uno scintillio di fuochi d’oro.
felici creature viventi! Nessuna lingua può esprimere la loro bellezza: e una sorgente d’amore scaturì dal mio cuore, e istintivamente li benedissi. Certo il mio buon Santo ebbe allora pietà di me, e io inconsciamente li benedissi.
Nel momento stesso potei pregare; e allora l’Albatro si staccò dal mio collo, e cadde, e affondò come piombo nel mare.” (lunga pausa)
CORO – Davanti al dubbio che Percy sia annegato nel naufragio, queste parole possono essere riaffiorate dall’inconscio di Mary? Non sappiamo. Sta di fatto che, come il vecchio marinaio, anche lei torna a sperare.
MARY – «No, non è finito proprio niente.» mi son detta e con Jane siamo partite per Livorno per scoprire la verità. Arrivate, abbiamo saputo che la mattina di quel maledetto lunedì c’era stato un temporale, ma verso mezzogiorno il tempo era migliorato. All’una, Shelley e Edward decidono di partire. Verso le tre il capitano Roberts, rimasto a terra, sente il vento alzarsi sul golfo. Col cannocchiale tenta di seguire la barca, che veleggia ormai a dieci miglia dalla costa.
CORO – Tocca ancora a lei: per favore faccia anche il Capitano Roberts, tanto ormai ha capito come funziona, no?!
CONTROCORO – Va beh…se proprio insisti (col megafono) «La foschia della bufera li nascose al mio sguardo e li persi di vista. Quando il tempo si rimise al bello li cercai di nuovo, ma sul mare non c’erano barche.»
MARY – Dopo le parole del capitano Roberts, decidiamo di tornare a San Terenzo nella speranza di trovarli là. Ma giunte al fiume Magra, gli schizzi dell’acqua attorno alle ruote della carrozza mi toglievano il respiro, mi sembrava di soffocare. Poi lungo il fiume ho visto due grandi fiamme che splendevano all’altezza della foce. “Quello deve essere il suo sepolcro.”
CORO – Di nuovo la premonizione di una pira funeraria…
MARY – Arrivando a casa, trovammo lo scirocco che soffiava eterno, il mare in burrasca, il paese illuminato per una festa e…i nostri cuori desolati, che vedevano tutto attraverso il velo di un sudario. (pausa) Di loro non c’erano notizie. Non posso descriverti l’agonia di quei dodici giorni finché l’amico Trelawny decide di andare a Livorno per far finalmente luce sul loro destino. Tornato il giorno dopo…la verità… era tutto finito… i loro corpi erano stati rinvenuti sulla spiaggia di Viareggio. (lunga pausa) Non ci fu permesso prenderne possesso. Per prevenire la diffusione della peste, qualsiasi cosa portata a terra dal mare doveva essere bruciata. Ogni protesta è stata inutile. Abbiamo solo potuto raccogliere le ceneri dopo che furono cremati. (Mary si alza e il CORO le consegna lo scrigno) Nello spazio di un piccolo scrigno è raccolto tutto ciò che rimane di colui il cui genio fu corona di gloria per il mondo.
Vento dell’Ovest, sollevami come un’onda, una foglia, una nuvola! Oh! Lift me as a wave, a leaf, a cloud!
Cado sopra le spine della vita! Sanguino! I fall upon the thorns of life! I bleed!
Il peso delle ore grevi m’incatena e m’inginocchia, A heavy weight of hours has chained and bowed
ma io sono a te troppo simile: indomito, veloce, altero. One too like thee: tameless and swift, and proud.
(Percy Bysshe Shelley, Ode to the West Wind) (lunga pausa)
CORO – Abbiamo seguito le tracce della creatura di Frankenstein e quelle di Percy Shelley in fuga dai propri demoni. Per entrambi l’esito è tragico. Un rogo su cui ardono corpi diventati leggenda. Queste vicende sono emblematiche di un passaggio d’epoca fondamentale: il tramonto dell’ancien régime decretato dalla Rivoluzione sociale in Francia e da quella Industriale in Inghilterra. Queste rivoluzioni hanno consentito l’ingresso nella modernità e l’avvio di una crescita economica senza precedenti. Ma l’immagine ottimistica di un progresso inarrestabile è presto incrinata dalla realtà di una società attraversata dal dubbio e dall’angoscia dove ogni certezza è persa a favore di precarietà e…
CONTROCORO – Hai intenzione di farci una lezione di storia? Non siamo mica a scuola, qui!
CORO –Di nuovo lei? Uffa!
CONTROCORO – Si, io per dirti che con questi discorsi ci stai stufando. Cosa c’entra Frankenstein con l’ancien régime e le altre filastrocche che c’hai raccontato?
CORO – C’entra, eccome se c’entra. Venuti meno gli ideali di Dio, Patria, Famiglia, non si sa più in cosa credere.
CONTROCORO – Beh, ma anche oggi c’è la crisi dei valori, o no?
CORO – Certo, ma deve essere chiaro che la crisi di oggi è figlia di quella di due secoli fa.
CONTROCORO – Ma cosa m’importa di due secoli fa!?
CORO – Importa invece! Da allora il mondo comincia a riempirsi di mostri come la creatura di Frankenstein poiché cosa distingue ormai il bene dal male, il lecito dall’illecito?
CONTROCORO – Ah, ecco perché i nostri politici fanno così fatica a rigare dritto…
CORO – Lasci stare la politica, ci manca anche questa! Piuttosto cosa risponderebbe lei a domande del tipo: Chi sono io, da dove vengo, dove sto andando?
CONTROCORO – Io so benissimo chi sono, figurati! Tanto per cominciare mi chiamo…
CORO – Che me ne faccio del suo nome e cognome? L’angoscia di cui parlo deriva dal fascino del mostruoso e del soprannaturale come sfida ai limiti della ragione e della conoscenza, deriva dall’aberrazione e dalla devianza vissute come resistenza alla massificazione…
CONTROCORO – Oddio che paroloni, mi scoppia la testa. Basta con la Storia. Voglio sapere come va a finire tutto sto’ casino che avete montato!
CORO – Glielo dico subito. Nel 1968, Philip K Dick pubblica un romanzo di fantascienza con un titolo curioso: Ma gli androidi sognano pecore elettriche?
CONTROCORO – Ma che titolo è? E questo sarebbe l’erede di Mary Shelley, per favore…
CORO – Da questo romanzo il regista Ridley Scott ha tratto il film Blade Runner, ambientato in un ipotetico, ma ormai prossimo 2019 dove è la società stessa a produrre esseri artificiali per fornire forza lavoro alle colonie extra-terrestri. Alcuni di questi replicanti si ribellano a un destino di morte programmata. Un poliziotto, anche lui probabilmente un replicante, deve eliminarli.
CONTROCORO – Nel film il poliziotto è Harrison Ford, no? Non avevo capito che pure lui forse era un replicante.
CORO – Ai bravi registi piace confondere un po’ le carte. Ma torniamo a noi. Come vede Blade Runner è un aggiornamento molto ben riuscito del Frankenstein di Mary Shelley. Anche qui abbiamo delle creature concepite in laboratorio, che rifiutano la loro natura di esseri artificiali.
CONTROCORO – Poverini, hanno ragione: perché devono finire in discarica come spazzatura?
CORO – Ma veniamo al finale altrimenti facciamo giorno! Le propongo un confronto tra questi due eroi negativi. Da un lato la creatura del dottor Frankenstein, che prima di sparire negli abissi del ghiaccio polare, ha il tempo di urlare alla notte:
La creatura – “But soon, I shall die, and what I now feel be no longer felt.
I shall ascend my funeral pile triumphantly,
And exult in the agony of the torturing flames.
The light of the conflagration will fade away;
My ashes will be swept into the sea by the winds…Farewell”
MARY – “Ma presto io morirò e ciò che ora sento non lo sentirò più.
Salirò trionfante sulla mia pira funebre
ed esulterò nell’agonia delle fiamme che mi tortureranno.
La luce di quella conflagrazione svanirà;
le mie ceneri saranno sparse nel mare dai venti…Addio”
CORO – Da parte sua, Roy Batty, il replicante di Blade Runner sopravvissuto ma ormai prossimo alla morte, pronuncia un monologo altrettanto drammatico e toccante:
La creatura – “I’ve seen things you people wouldn’t believe.
Attack ships on fire off the shoulder of Orion.
I watched C-beams glitter in the dark near the Tannhauser Gate.
All these moments will be lost in time, like tears in rain. Time to die.”
CONTROMARY – “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi.
Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione
E ho visto i raggi C balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser
Tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire.”
Liberamente ispirato a:
Mary Shelley, Frankenstein; o, il moderno Prometeo, Mondadori, 2002
Mary Shelley, I miei sogni mi appartengono, L’orma, 2015
Samuel Taylor Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, Einaudi, 1964
Carla Sanguineti, Come un incantesimo. Mary e Percy Shelley nel Golfo dei Poeti, KappaVu, 2011
Adriano Angelini Sut, Mary Shelley e la maledizione del lago, XL, 2013
Philip K Dick, Do Androids Dream of Electric Sheep?, Doubleday, 1968
Ridley Scott (regia), Blade Runner, film da Philip K Dick, 1982.