1.Yoga e Occidente
Molte sono le ragioni che spiegano il crescente successo dello yoga in Occidente. Ci sono quelle argomentate dai giornali che, spiazzati da schiere sempre più consistenti di pop-star e icone del mondo dello spettacolo attratte da questa pratica arcana, si limitano a segnalarne le ricadute salutiste e ‘d’immagine’. A un livello di maggior approfondimento, io credo che uno dei motivi fondamentali di questo successo vada ricercato in un dato abbastanza sorprendente. Nonostante le evidenti differenze infatti, sia i valori dominanti nelle società tecnologicamente avanzate sia quelli alla base di molte discipline tramandate dalla tradizione orientale, tra cui appunto lo yoga, vertono su un presupposto comune: è l’individuo il vero artefice del proprio destino.
L’idea che gli aspetti più problematici ed angoscianti della condizione umana non derivino né dal peccato originale né da una punizione divina è infatti ampiamente acquisita dalla nostra coscienza secolarizzata e sempre più disincantata. Da qui la consapevolezza diffusa che il percorso esistenziale dipenda in modo sostanziale dalle nostre scelte concrete, anche se poi non sempre agiamo in modo coerente con tale convinzione.
Ancora aperto invece rimane il problema della volontà. Senza entrare nel merito di tale dibattito, è sufficiente qui segnalare che l’essere umano si distingue per la capacità di riconoscere e valutare le conseguenze delle proprie azioni e quindi di modificarle. Ma come si concilia questo dato col fatto che nel patrimonio genetico è già inscritto il nostro destino biologico e che i nostri atteggiamenti/comportamenti sono plasmati dal processo di socializzazione? A queste condizioni, come possiamo agire consapevolmente la nostra libertà d’azione?
Non esistono risposte definitive a questa domanda, se mai ne esisteranno. Da parte mia, mi sento di affermare che se le nostre scelte sono certamente influenzate sia a livello genetico sia a livello sociale, tali condizionamenti prefigurano solo le potenzialità e i limiti dell’azione, non il suo contenuto effettivo. E’ su questo margine concesso alla responsabilità individuale che possiamo intervenire per prendere le nostre decisioni.
Affinchè ci sia vera consapevolezza tuttavia, la responsabilità si deve coniugare con la conoscenza. Diventare coscienti dei meccanismi che regolano i comportamenti sia dall’interno, cioè i condizionamenti di tipo genetico, sia dall’esterno, quelli di tipo socio-culturale, significa anzitutto conoscerli.
Anche se da un’angolatura diversa, la tradizione indiana era giunta, qualche millennio prima, alle stesse conclusioni quando asserisce che solo la conoscenza di sé può condurre alle soglie dell’illuminazione per far scoprire il vero ‘se stesso’. Ma questo concetto non ricorre forse anche nel pensiero occidentale dell’antichità: da Socrate col suo ‘conosci te stesso’, al Seneca delle ‘Lettere a Lucillo’, dove la coscienza si coniuga alla volontà, fino al ‘Rede in te ipsum’ di Sant’Agostino?
A tutto ciò, lo yoga aggiunge di suo un’elemento peculiare: l’uso integrato del corpo e della mente. Oltre alla necessità di realizzare un processo di auto-analisi, questa disciplina è infatti esplicita nell’affermare che esso deve riguardare contemporaneamente psiche e soma. L’obiettivo finale è conseguire il controllo dei meccanismi biopsichici per accedere a quella conoscenza di natura globale, basata allo stesso tempo sul capire e sul sentire (da qui l’importanza del ‘terzo occhio’), e fatta dunque di nozioni e di intuizioni, di trasparenze e di oscurità: solo da questo tipo di conoscenza può scaturire la vera saggezza.
Lo yoga non dice: ‘Sii equilibrato!’, ma indica le condizioni per realizzare anzitutto l’equilibrio nel corpo da cui consegue quell’armonia interiore capace di aprirci non solo a una vita migliore, ma di approssimarci al mistero che alberga in noi.
Come in ogni percorso di ricerca interiore, la conoscenza di sé rende l’individuo più responsabile anche nei confronti degli altri. Non a caso, nel modello di Patanjali, l’iniziatore del sistema ‘classico’ dello yoga, il percorso comincia proprio con le cinque yama (astensioni: ad es. nonviolenza e onestà) e le cinque niyama (osservanze: ad es.purificazione e studio), precetti morali destinati appunto a sviluppare la positività a proprio favore e a favore dell’Altro contemporaneamente. Con le nostre scelte possiamo dunque decidere non solo della nostra felicità/infelicità, ma dello sviluppo o dell’involuzione di un tipo di società come l’attuale, in corsa verso l’autodistruttività e messa in crisi da atteggiamenti asociali sempre più diffusi.
Con i suoi rituali di pulizia, un’alimentazione corretta ed equilibrata, gli esercizi fisici e respiratori, le tecniche di concentrazione e di meditazione, lo yoga rappresenta una scelta precisa di auto-valorizzazione in termini di salute, forza, benessere, autostima. Ma nel costituire un evidente atto d’amore verso sé stessi, lo è anche verso gli altri nel momento in cui lo star bene di una persona ha una funzione stimolante pure per chi la incrocia e la frequenta, grazie alle energie positive che inconsapevolmente essa diffonde.
Per concludere su queste tematiche incentrate sulla responsabilità individuale, un breve cenno a un terzo fattore che, assieme al DNA e all’ambiente, svolge un ruolo decisivo nella costruzione del percorso di vita: il caso, l’imponderabile, l’aleatorietà degli eventi.
Nella cultura classica occidentale, questa variabile ha assunto le sembianze del fato: il destino a cui nulla e nessuno può sottrarsi ne tantomeno opporsi, neppure gli dei. Solo con il Cristianesimo emerge l’idea del ‘libero arbitrio’ che, riconoscendo alla persona la possibilità di costruire il proprio destino giorno per giorno, lo costringe continuamente a scegliere tra la mancanza di autocontrollo, personificazione del Male, e l’autocontrollo, metafora del Bene.
Il pensiero orientale è invece dominato dal concetto di karma che, nella logica della reincarnazione, è il principio in base al quale ogni vita è il risultato delle azioni compiute nelle esistenze precedenti. Di questa concezione, l’aspetto per noi cruciale è il rifiuto di una visione fatalistica e deresponsabilizzante: integrato nel ciclo infinito delle trasmigrazioni, l’individuo è comunque spinto a cercare e a trovare la ‘salvezza’, cioè la libertà assoluta.
Anche in questo caso, lo yoga fornisce una lettura particolare : è il corpo in primo luogo a segnalarci, con le sue trasformazioni, il senso e la direzione delle nostre scelte. Grazie all’attenzione alla fisicità lo yogin “… riscopre il valore concreto del corpo e della vita umana, e vuole ottenere la ‘salvezza’ a suo modo, prendendo le mosse da quel corpo stesso la cui fisiologia egli trasforma in una fisiologia mistica.” (Eliade, 1973). La pratica yoga non può allora essere considerata alla stregua del semplice rispetto formale di principi e regole astratte: è evidente come rappresenti piuttosto un percorso di consapevolezza e di responsabilizzazione degli effetti prodotti dalla nostra azione nel mondo, una deliberata strategia per armonizzare il temperamento (il ‘dentro’) con le circostanze (il ‘fuori’). Sono queste le premesse per un approccio produttivo ai problemi posti dal rapporto tra disciplina e libertà. Come scrive Eliade: “La libertà non la si conquista se non giovandosi di una disciplina eccezionale”.
Sembrerebbe dunque che la libertà possa assumere un valore reale solo se messa a confronto con la sua negazione; detto in altri termini: per coglierne il senso reale occorre un limite che la riveli, altrimenti si rischia di ritrovarsi apparentemente senza vincoli, ma incapaci di realizzare qualunque progetto perché privi dei mezzi appropriati e delle strategie idonee. L’autodisciplina risulta così l’unica vera forma di libertà poiché il rispetto di una regola di condotta assicura più facilmente un controllo efficace dei condizionamenti interni dovuti alle abitudini mentali. Proprio questi automatismi sono all’origine delle chiusure e delle rigidità più difficili da rimuovere e superare. La libertà è allora una scelta da compiere in primo luogo nei confronti di se stessi.
Chi ha già sperimentato la pratica yoga può immediatamente riportare tali affermazioni alla propria esperienza, fatta senza dubbio di sforzi notevoli, al limite della sopportabilità, per modificare anzitutto la soglia del dolore, ma anche la graduatoria delle priorità. Si riprone qui uno dei tanti paradossi che rendono così attuale questa disciplina: proporsi di superare i condizionamenti imposti dalla fisicità con un percorso incentrato proprio su di essa, fatto di costrizioni continuamente esercitate sul corpo in modo da potersene poi distaccare in nome del suo massimo perfezionamento e non della sua negazione come accade invece nel caso dei mistici.
Del resto, qualsiasi artista, e lo yogin è un ‘artista del corpo’, sa bene che solo rispettando un insieme di prescrizioni è possibile concentrare l’energia necessaria a conseguire un risultato. Per valorizzare le potenzialità, il talento va comunque disciplinato con regole precise, finalizzate a preservarne la dispersione: è ciò che fà l’artista quando, per assecondare lo stimolo creativo, si isola. Una volta centrato su di sè può abbandonarsi alle suggestioni del proprio mondo interiore per trasferirle poi all’esterno.
Nel linguaggio dello yoga tutto ciò significa rivolgere l’energia verso l’interno per non disperderla all’esterno. A queste condizioni si può attuare l’essenza di ogni ‘arte’: sorprendere e apparire naturali al tempo stesso.
-
Yoga e Hathayoga
La contaminazione subita nell’incontro con l’Occidente, ha mutato certamente gli assetti originali dello yoga. Uno degli effetti più evidenti è il prevalere, a scapito della complessità originale, di una corrente specifica: l’Hathayoga.
Più di altre, questa corrente enfatizza il livello fisico della pratica, ritenuto il piano decisivo su cui si gioca la trasformazione della materia in energia. E’ infatti grazie al potenziamento del corpo e delle sue prerogative che si può conseguire quel potenziamento delle attitudini psicomentali necessario al passaggio dalle energie grossolane alle energie sottili.
L’Hathayoga si regge sull’ipotesi che i cambiamenti nel corpo abbiano come diretta conseguenza la trasformazione della mente e della psiche, in base a quel principio di causa-effetto così vicino alla sensibilità pragmatica e scientista dell’Occidente.
In ogni caso, ciò che l’Hathayoga ci comunica e che, se ascoltato, il corpo è molto esplicito nel restituirci le informazioni necessarie a ‘vivere’ e non solo a sopravvivere. Ci fa ad es.capire quando è il caso di affidarci al maschile, lasciando che prevalgano gli atteggiamenti aggressivi ed estroversi, che nel corpo afferiscono alla parte destra, la parte del fegato, e quando invece è meglio affidarci al femminile, lasciandoci guidare dalla tenerezza e dal ‘sentire con il cuore’, non a caso posto nella nostra parte sinistra. Più in generale, l’ascolto del corpo abitua a percepire i messaggi impercettibili e capillari affidati alle emozioni, che sono quelli che in realtà orientano più da vicino le scelte. Diventando coscienti di tali meccanismi sarà più facile indirizzare queste scelte nel senso dell’azione e non della semplice re-azione.
Come ha chiarito in modo inequivoco la bioenergetica di Lowen e Pierrakos, un’analisi non solo corretta ma anche soddisfacente della personalità deve tener conto del corpo e dei suoi processi energetici. Questi autori hanno infatti dimostrato in modo convincente lo stretto rapporto esistente tra blocco emotivo e funzionalità organica, rapporto che quando si deteriora si traduce in tensioni muscolari, disfunzioni respiratorie, inibizioni sessuali ecc.
Certo, il primo passo da compiere per riappropriarsi del linguaggio del corpo è smettere di considerare il cervello il centro dell’esistenza e l’ideazione il motore primario della comprensione. Ciò significa riconoscere un altro percorso di esperienza e di conoscenza, quello del sentire, che si fa strada quando siamo in un particolare stato mentale, sospeso tra conscio e inconscio. Le sensazioni che avvertiamo in certi momenti di allentamento dell’attenzione cosciente, la soluzione a un problema anche di natura astratta, come testimoniato da molti scienziati, che arriva in modo inatteso e imprevisto sull’onda di stimoli di tipo non certo razionale, le scelte relazionali decise in base all’’aria che tira’: sono alcuni esempi di come può manifestarsi il ‘sentire’ in circostanze diverse. In casi come questi ciò che prevale è l’intuizione, una forma di conoscenza che prescinde dal ragionamento poiché consente la visione immediata di una realtà non evidente, senza l’intervento della riflessione logica.
E’ scontato che lo sviluppo del pensiero razionale ci ha procurato vantaggi concreti e irrinunciabili; è altrettanto chiaro tuttavia che cominciano a emergere anche le conseguenze negative della frattura tra mente e corpo, operata dal nostro tipo di cultura. Drammaticamente scissa tra istinto e ragione, la società contemporanea sembra finalmente avviata ad affrontare il problema dei guasti provocati da tale frattura e a superare quel dualismo tra materia e spirito caposaldo del pensiero occidentale.
Lo yoga è perfettamente in linea con tale strategia, ed è questo uno dei motivi della sua attualità. Nel linguaggio allusivo delle sue metafore si dice infatti che, grazie alla pratica yoga, è partendo dalla ‘terra’, regno degli istinti primordiali, che si può raggiungere il ‘cielo’, dominio della ragione e della spiritualità; ma una volta raggiunto il cielo bisogna poi ridiscendere a terra se si vuol tornare a volare. Ciò significa che l’ordine si deve coniugare con il caos. Detto in altri termini: le energie sottili di tipo psicomentale vanno utilizzate senza rinuciare a quelle più grossolane legate all’esperienza concreta, come del resto nella buona musica il suono acuto del flauto, capace di elevarci verso l’empireo, è sostenuto dal suono grave del tamburo, che ci tiene ancorati alla terra col ritmo delle pulsazioni vitali che ci trascinano momento per momento.
Non si tratta di decidere se sia meglio contare su ciò che si sa piuttosto che su ciò che si prova: il vero problema è come integrare i due livelli conoscitivi, cioè come utilizzare ciò che si prova per capire meglio ciò che si sa e viceversa.
Grazie alla ricerca scientifica, la tecnologia ci consente di sostituire la mente umana in molte funzioni di routine. Si sta dunque creando uno spazio idoneo per cominciare a riappropriarci di alcune facoltà non razionali ancora latenti, anche se non più attive oppure deviate. Nell’era dell’informatica ci sono tutte le condizioni per tornare a valorizzare quell’insieme di prerogative, come gli istinti e le emozioni, che pur essendo state emarginate, rimangono essenziali nel guidarci nelle scelte e che del resto non potranno mai essere inscritte in nessun codice artificiale.
Nel linguaggio yoga ciò significa entrare in sintonia con il principio dell’integrazione degli opposti, comune a tutte le principali funzioni vitali: cervello sinistro/ cervello destro, inspiro/espiro, sistole/diastole, tensione/distensione ecc. Il problema è come entrare in connessione con questo meccanismo poiché, privilegiando una parte del corpo a scapito dell’altra, tendiamo continuamente a negarlo. Di solito infatti svilluppiamo una preferenza per una metà rispetto all’altra, quasi sempre per la destra, assertiva e aggressiva, probabilmente in risposta ai traumi in cui si incorre al momento della nascita, traumi che rimangono profondamente radicati nelle nostre funzioni psicosomatiche.
Lo yoga può svolgere un ruolo importante per ripristinare questo equilibrio spezzato. Una delle regole fondamentali della sua pratica è infatti l’intervento alterno, ma simultaneo, sulle due metà del corpo che, nell’identificazione della sinistra con il femminile e della destra con il maschile, descrivono due diversi e opposti profili caratteriali: l’aggressività della parte destra contrapposta alla tenerezza della parte sinistra. Appunto per stimolare contemporaneamente ambedue questi poli e ristabilire il contatto con entrambe le energie, molte delle posizioni yoga prevedono una doppia esecuzione: a destra, il lato del ‘sole’ (astro tutelare del maschile), e a sinistra, il lato della ’luna’(astro tutelare del femminile).
-
Yoga e salute
Tra chi si accosta oggi alla pratica yoga è spesso presente una motivazione di carattere ‘salutista’. Per noi occidentali questo approccio è del tutto scontato; non lo è affatto nella tradizione orientale dove la malattia è vista come l’espiazione di colpe commesse nelle vite precedenti, dunque da nascondere e negare. Nello yoga classico ad es. per essere iniziati alla pratica era richiesta una forma fisica adeguata, testimoniata da una schiena ben allineata e da una dentatura perfetta.
Sorge allora un problema: è lecito e opportuno attribuire una funzione terapeutica a una disciplina concepita all’origine per realizzare spiritualmente chi è già sano nel corpo e predestinato dunque al samadhi– la liberazione finale? Non c’è il rischio di ridurre l’atteggiamento nei confronti dello yoga da contemplativo a strumentale?
Per rispondere occorre tener conto di molteplici fattori.
Anzitutto, pur non essendo un metodo di guarigione, lo yoga realizza un tale impatto sui processi bio-psichici che le sue potenzialità terapeutiche non possono essere ignorate: un esempio per tutti è costituito dal controllo molto efficace che si ottiene, grazie alla sua pratica, dell’eccesso di ansia e di stress, ormai compenetrato nello stile di vita occidentale. Tale risultato appare ancora più rilevante se si considera che questo eccesso, oltre a causare alcune affezioni oggi molto diffuse come l’ipertensione e i disturbi cardiaci, contribuisce in maniera determinante alla caduta delle difese immunitarie, a loro volta condizione favorente l’instaurarsi di patologie importanti come il tumore e l’Aids.
Alla luce di questo e di altri elementi, va allora riconosciuto il ruolo non trascurabile che lo yoga può svolgere nella prevenzione di tutta una serie di malattie direttamente correlate al nostro modo di vivere, che possono essere più efficacemente contrastate grazie all’energia vitale attivata dalla sua pratica. Oltre che a conseguire quel benessere generale che tutti si aspettano, lo yoga può dunque contribuire a realizzare quell’’essere che sta bene’, vero obiettivo di ogni serio intervento terapeutico che non dovrebbe solo curare, ma soprattutto evitare il processo patologico.
Pur non essendo una terapia, lo yoga svolge una indubbia funzione curativa grazie alla sua peculiare capacità di mobilitare tutte le risorse interne per l’attuazione di un cambiamento.
C’è tuttavia un altro aspetto da considerare: poiché la malattia si sta rivelando in molti casi l’esito di uno scompenso energetico più che una semplice disfunzione di carattere organico, anche i rimedi dovrebbero andare nella stessa direzione, riservando una crescente attenzione ai meccanismi non-organici all’origine del malessere.
A questo punto val forse la pena chiarire il concetto di energia vitale. Nel contesto yoga si fa riferimento in proposito al prana (l’energia cosmica che assimiliamo col respiro) e a kundalini (il cui significato è ‘colei che è raggomitolata’) che rappresenta invece l’energia pulsionale individuale, raffigurata come un serpente femmina, attorciliato tre volte e mezza, e addormentato alla base della colonna vertebrale.
La parte più fisica dello yoga è proprio finalizzata al risveglio, grazie all’azione del prana, di questa energia ancestrale in modo che, una volta destato dal suo torpore, questo serpente si erga come per rispondere a un attacco. In questo movimento ascendente l’energia primordiale supera il livello delle energie grossolane, quelle deputate alla sopravvivenza biologica, e va a stimolare i livelli sottili dell’energia, quelli preposti all’astrazione e alla spiritualità. Da segnalare che qualche studioso ha visto in questo precesso la simbolica unione delle due sezioni del sistema nervoso parasimpatico, la parte sacrale e quella cervicale, ennesima riproposizione del principio dell’integrazione degli opposti.
In ogni caso, in questo meccanismo sono coinvolti i chakra, centri di energia distribuiti lungo la colonna vertebrale, che possono essere fatti corrispondere all’organizzazione in ‘plessi’ descritta dall’anatomia occidentale: coccigeo, prostatico, ombelicale, cardiaco-polmonare, faringeo, epifisario, cerebrale.
In estrema sintesi, lo scopo dello yoga sarebbe di far risalire verso l’alto l’energia vitale trattenuta dalla kundalini, facendo in modo che nessun squilibrio sensoriale lo impedisca a livello dei vari centri di energia psicofisica, i chakra.
Lo yoga permette dunque non solo di controllare meglio i processi psicobiologici, ma di attribuire un senso agli inevitabili squilibri ricorrenti nel loro funzionamento. E con ciò arriviamo a parlare della malattia. Sono infatti gli scompensi energetici che, in determinate circostanze sia di natura interna che esterna, possono degenerare e trasformarsi in patologia.
Nonostante tutto intorno a noi ci induca a credere il contrario, la malattia è dunque parte integrante della nostra esperienza di vita. Oltre che curata, essa va accolta come sintomo della vulnerabilità derivante dal vivere a contatto con un ambiente fisico e sociale che, oltre a sostenere le nostre scelte e favorire i nostri progetti, può anche ostacolarli e vanificarli.
Purtroppo la nostra cultura è dominata dal mito perverso dell’immortalità, reso credibile da una tecnologia dagli sviluppi all’apparenza inarrestabili. Paradossalmente, oggi l’ammalarsi può allora rappresentare una forma di libertà nei confronti di una medicina ancora fondata su parametri quantitativi più che qualitativi, e nei confronti di un dover essere che richiede e impone salute ed efficienza a senso unico. La malattia non va quindi né rinchiusa in una sfera esclusivamente organica, non a caso la parola ‘patologia’ deriva da pathos volendo alludere all’universo delle passioni e dei sentimenti, né tantomeno esclusa dalla nostra esperienza: negarla è pericoloso poiché porta a considerare la morte un evento patologico invece che un evento fisiologico, quale in realtà essa è.
Ma c’è un ultimo dato che merita di essere discusso. Se finora l’attenzione dei ricercatori è stata soprattutto puntata sugli effetti che la psiche e le sue alterazioni producono sul corpo, aprendo il campo a un nuovo tipo di approccio teorico e di metodi di cura, che vanno sotto il nome di ‘medicina psicosomatica’, lo yoga delinea una prospettiva ancora più interessante e inesplorata: quella degli effetti psico-mentali derivanti dalle modificazioni che si possono apportare al corpo. Ciò significa riconoscere una base neuro-fisiologica ai processi attivati dalla pratica yoga.
Prende allora consistenza l’idea, del resto già chiaramente intuita dai primi yogin, che modificando la funzionalità anatomica si possa modificare la funzionalità cerebrale. Ciò a partire dalle posizioni yoga (asana) e dal controllo della respirazione (pranayama), e ricorrendo poi alla più impegnativa meditazione che, dietro l’apparente immobilità, costringe il corpo a una continua azione muscolare capace di stimolare la corteccia cerebrale.
Tutto ciò è oggi reso plausibile dai risultati della ricerca biologica, che non solo hanno evidenziato la sorprendente plasticità dei circuiti neuronali, quelli che regolano l’attività delle cellule nervose, ma soprattutto fanno intravvedere la concreta possibilità di modificare questi circuiti grazie agli impulsi elettromagnetici attivati da un prolungato allungamento delle fibre muscolari. Quando si tiene una posizione yoga per un tempo significativo, la messa in tensione dei muscoli coinvolti sembra infatti provocare una sorta di ‘bombardamento neuronale’, capace di rafforzare questi circuiti. Perciò l’innarrestabile morte delle cellule nervose potrebbe essere compensata dal rafforzamento delle connessioni tra cellula e cellula attraverso il rafforzamento dei circuiti neuronali stessi.
Anche per quanto riguarda il controllo della respirazione (pranayama) sono ormai numerose le prove sperimentali della sua capacità di indurre significativi cambiamenti fisio-metabolici come il rallentamento del battito cardiaco e la diminuzione della temperatura corporea. Ma l’aspetto più sorprendente è la stretta relazione rilevabile tra respirazione e stato psichico. Ci sono infatti modi di respirare che procurano eccitazione ed altri che la riducono: ad es. quando parliamo ‘respiriamo alto’, con respiri corti e veloci per mantenere la tensione necessaria al confronto con l’interlocutore, mentre quando dormiamo ‘respiriamo basso’, con respiri prolungati e lenti per favorire lo stato di rilassamento. Non è allora un caso che la parola ‘psiche’, dal greco psichè, sia da ricollegare a psychein, che significa ‘respirare, soffiare’.
Altri dati sperimentali dimostrano infine che il rilassamento, ma soprattutto la concentrazione e la meditazione, hanno effetti evidenti sia di tipo fisiologico, che psico-mentale. Oltre a una riduzione complessiva della velocità del metabolismo, queste tecniche determinano l’abbassamento/stabilizzazione della pressione sanguigna, il rallentamento del battito cardiaco, la diminuzione involontaria della velocità respiratoria, una maggiore resistenza cutanea alla corrente elettrica, la diminuzione del lattato nel sangue, che tende invece ad aumentare negli stati d’ansia. A questi effetti si somma una variazione nell’attività elettrica del cervello, che si manifesta con un’azione saltuaria delle onde teta e un aumento delle onde alfa, che predominano appunto quando si è rilassati.
Più di recente, Andrew Newberg e Eugene d’Aquili dell’Università di Pennsylvania, hanno provato sperimentalmente che, mentre si medita, la zona cerebrale preposta alla funzione di orientamento nel tempo e nello spazio, va in tilt. L’Io perde così la coscienza dei suoi confini e si sente un tutt’uno con l’Universo: la continuità microcosmo/macrocosmo, uno dei capisaldi del sistema yoga, diventa dunque una sensazione del tutto reale, riflesso della minore irrorazione di sangue subita, nel cervello, dal lobo parietale, che presiede appunto all’orientamento nel tempo e nello spazio.
Viene in questo modo confermata la possibilità di utilizzare lo yoga non solo come percorso introspettivo capace di stabilire un contatto con le componenti più enigmatiche e sfuggenti del nostro essere, ma come motore per conseguire quegli ‘stati alterati di coscienza’ che, aprendo all’inconscio, aumentano le capacità cognitive.
Funzioniamo utilizzando una quota irrisoria delle nostre potenzialità: lo yoga ci può aiutare a capire meglio chi siamo in realtà e cosa si nasconda dietro i continui limiti che incontriamo in ogni attività, fisica e mentale.
-
Lo yoga ha un genere?
I testi della tradizione yoga sono inequivocabili nel rivolgere i loro insegnamenti esclusivamente a maschi adulti. Non solo: tra le regole che il praticante doveva osservare, uno dei precetti fondamentali era il guardarsi attentamente dal fascino femminile, per non cadere vittima delle sue insidie.
Espressione della struttura patriarcale tipica delle società tradizionali, questo atteggiamento misogino riflette e rivela le componenti sessuali del dominio sociale, quelle che hanno portato a una precisa divisione del lavoro in base al genere: la riproduzione e l’accudimento alle donne, la guerra e la politica agli uomini.
I problemi nascono quando, a partire da questa divisione dei compiti, la componente maschile afferma la sua egemonia su ogni altra sfera della società. Ma tale egemonia ha bisogno di legittimazione: in quanto tentativo di trasformare un dato strutturale in valore culturale, il patriarcato è risultato fondamentale per giustificare tale supremazia. Perciò ha dovuto spazzar via la preesistente società matriarcale, che aveva dominato nella lunga fase iniziale della specie umana.
Il conflitto tra matriarcato e patriarcato ha avuto riflessi anche in ambito yogico, il più rilevante dei quali è l’emarginazione del tantrismo, componente primaria delle forme più arcaiche di yoga, che non a caso esprimono tutt’altra posizione nei confronti della donna.
Egemone fino all’arrivo degli invasori indoeuropei nel continente indiano, il tantra è stato poi represso e negato nell’ambito della società ariana, nata dalla fusione tra i vincitori (i ‘signori della guerra’ scesi da Nord) e i vinti (le popolazioni autoctone). Uno dei caratteri fondamentali assunti da questa nuova società è stato il puritanesimo. Ciò spiega l’intolleranza nei confronti del tantrismo, fondato sull’uso liturgico dell’erotismo e dunque testimonianza esplicita di libertà sessuale; ciò spiega perché i brahamani, la casta religiosa che esprimeva i nuovi assetti del potere, abbiano provveduto così efficacemente alla sistematica emarginazione dai cerimoniali di questa traccia del potere matriarcale ormai sconfitto.
Solo oggi, grazie alla mutata posizione sociale acquisita dalle donne, il tantrismo torna a suscitare interesse ed attenzione, per lo meno in Occidente.
Più in generale si può dunque concludere che se le donne si stanno riappropriando di tutto quanto era stato loro negato in passato anche nel caso dello yoga si assiste a una loro netta prevalenza sia tra gli insegnanti che tra i praticanti, valutabile attorno al 75% . Perché?
Anzitutto va tenuto conto che prendere coscienza del proprio corpo può oggi rappresentare il tentativo di recuperare un rapporto creativo con una dimensione, quella della fisicità, minacciata dall’invadenza degli stereotipi imposti dall’alto sotto forma di ‘immagine’. Per certi aspetti più difendibile anche se per altri più vulnerabile, il corpo si pone in effetti come l’ultimo baluardo opponibile al processo di omologazione culturale. La globalizzazione punta chiaramente a diffondere modelli di consumo validi per tutto il pianeta. Per arrivare a ciò si cerca di imporre ‘forme’ standard condensato del maggior numero possibile di canoni estetici per renderle accettate e accettabili da tutte le culture. Il richio ovviamente è quello della perdita dell’identità individuale e collettiva insieme.
Di questo rischio appaiono particolarmente consapevoli le donne, grazie alla loro storica dimestichezza con la fisicità. Sedurre con il corpo, riprodursi con il corpo, esprimersi con il corpo, sentire con il corpo sono possibilità che le donne hanno sempre esplorato e controllato molto meglio degli uomini. Oggi dunque che la posta in gioco è l’autonomia individuale, sembrano loro le più attente a muoversi sul terreno scivoloso dell’immagine dove la dimensione corporea gioca un ruolo così determinante. La scelta con cui dobbiamo confrontarci non è infatti di poco conto: ‘Adeguarsi alle immagini stereotipate diffuse dai media per bisogno di rassicurazione o al contrario affermare la volontà di autodeterminazione a partire proprio dal corpo?
Ripristinando la consapevolezza della propria fisicità, lo yoga può costituire un punto di partenza idoneo a sostenere una strategia di difesa della propria identità dalle invadenze degli apparati del consenso. Perciò le donne in particolare sono sensibili al suo richiamo, sia che ci si limiti a un tipo di pratica incentrata sul contatto con l’Io individuale, come nel caso degli stadi iniziali dello Hathayoga, sia che si ricerchi il contatto con il Sé universale grazie a pratiche più avanzate come la meditazione. Ovviamente i due percorsi non si escludono: i livelli più avanzati e rarefatti della pratica hanno comunque bisogno di un corpo adeguatamente preparato per realizzarsi, così come ogni gesto, anche il più elementare, allude sempre a una dimensione altra, non immediatamente evidente.
Perciò è importante scegliere una via mediana, che preservi dalla perdita di contatto con la realtà, ma anche da un uso consumistico dello yoga. Questo percorso non esiste già pronto: c’è solo la possibilità per ognuno di praticare una disciplina che consente combinazioni diverse, ma non inconciliabili, tra il potenziamento dei talenti e delle risorse e la realizzazione spirituale.
Se la via scelta è quella giusta per noi, queste due prospettive sono destinate a realizzarsi insieme: il corpo migliora i suoi assetti e le sue prestazioni nello stesso momento in cui le percezioni si fanno più nette e precise; l’umore s’ingentilisce, s’instaura una maggiore consapevolezza di sé, il pensiero aumenta in lucidità e profondità. Queste sinergie arricchiscono la persona sia a livello fisico che psichico, aprendo la strada a una migliore conoscenza del Sé.
Trascendere la realtà tangibile è sempre un’esperienza che rompe violentemente con le abitudini consolidate. Per farlo occorre mettersi continuamente in discussione, cosa del resto richiesta da tutti i processi di crescita che si propongono di andare oltre le apparenze.
Bibliografia essenziale
- Eliade, ‘Lo yoga. Immortalità e libertà’, Rizzoli, Milano 1973
- Lafaille, ‘Placar la sete…Manuale di meditazione per la promozione della salute’, Angeli, Milano 1998
- Lodi, ‘Il tempo dello yoga. Passato e futuro di una filosofia del corpo’, Angeli , Milano 1998
- Lodi, ‘Se vuoi vincere, lascia perdere. Come liberarsi dallo stress con il rilassamento e…il buon umore’, Angeli, Milano 1999
- Lodi, ‘A occhi chiusi. A cuore aperto. Ansia e depressione: il segreto per superarle è in noi’, Baldini & Castoldi, Milano 2001
- Lodi, A.Servida Vento, R. Terranova-Cecchini, ‘Yoga in psichiatria’, paper in attesa di pubblicazione
- Lowen, ‘La spiritualità del corpo: l’armonia del corpo e della mente con bioenergetica’, Astrolabio, Roma 1991